"La Casta dei Giornali", B. Lopez




Autore: Beppe Lopez
Titolo: La casta dei giornali
Sottotitolo: Così l'editoria italiana è stata sovvenzionata e assimilata alla casta dei politici
Edizione: Nuovi Equilibri, Viterbo, 2007, Eretica , pag. 208, cop.fle., dim. 12x17x1,5 cm , Isbn 978-88-6222-001-9


Pagina 8

"Il fatto. Ogni anno in Italia lo Stato elargisce ai giornali e a pezzi assimilati dell'informazione, in forme poco trasparenti, molto discutibili e spesso truffaldine, provvidenze e regalìe che sono arrivate recentemente, per un solo anno, a costarci 700 milioni di euro. Secondo alcune fonti ufficiali, qualcosa in meno. Secondo altri calcoli, come vedremo, qualcosa in più. Anzi, molto di più.
Ma prendiamo per buona quella cifra, per ora: mille e quattrocento miliardi delle vecchie lire regalati a centinaia e centinaia di gruppi, testate e personaggi, attraverso una lunga e articolata normativa, col tempo sempre più clientelare e gravosa, avviata in epoca moderna con la legge n. 416 del 5 agosto 1981 («Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l'editoria») e proseguita con la legge n. 67 del 25 febbraio 1987 (rinnovo della 416), con la n. 250 del 7 agosto 1990 («Provvidenze per l'editoria e riapertura dei termini, a favore delle imprese radiofoniche...») e con la n. 62 del 7 marzo 2001 («Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali... »).

Si era partiti, naturalmente, da alcune esigenze più o meno ragionevoli e, in una certa misura, "politicamente corrette". Comunque dalla previsione di contributi di piccola e media entità, tali da non costituire la ragione prima o addirittura esclusiva della nascita e della capacità di tenuta di testate e aziende editoriali. Si voleva dare una mano ai giornali di partito, che altrimenti, con la sola eccezione dell' Unità, non potrebbero sopravvivere nello spietato mercato dell'informazione. Si riteneva di dover aiutare in una qualche maniera le cooperative, che a fatica e generosamente, in un sistema economico altamente competitivo, cercano di promuovere la capacità dei lavoratori di produrre in condizioni di autonomia e di libertà una merce delicatissima e democraticamente sensibile come l'informazione. E non sembrava giusto, poi, costringere i giornali a costi di spedizione troppo onerosi, in considerazione del loro ruolo sociale e dello storico gap fra la diffusione dei quotidiani in Italia e quella che si registra nel resto del mondo civilizzato. Pareva poi doveroso dare una mano ad aziende in difficoltà e, in generale, a un settore in fase di travolgente trasformazione tecnologica, finanziaria e organizzativa."


In queste poche righe, in una pagina intensa dell'opera di decisa denuncia sociale di Beppe Lopez contro un sistema, quello italiano, fatto di politiche d'assoggettamente dell'interesse giornalistico a quello politico, si riassume un problema che si può senza timore definire "tipicamente italiano". L'anomalia della stampa italiana, costellata di editori impuri e influenze politiche sulla Rai, frastornata dagli assordanti echi di una politica della concorrenza pluripartitica, che più che stabilizzare insegna a disinteressarsi dal chiasso delle poltrone parlamentari e focalizzarsi sui salotti di Porta a Porta e Matrix, è tutta lì.

Un sistema di sovvenzioni ai giornali di partito, un altro per i sostegni finanziari ai giornali "impaninati", cioè venduti insieme a testate di minore rilevanza e tiratura, che di fatto non fanno altro che tentare la capillarizzazione nel territorio tramite un'insolita e quantomai ambigua campagna di autopromozione di marketing, un altro ancora per i quotidiani che si vantano della propria inutilità, con pochissime copie che neppure raggiungono le edicole, ma che, pare, aiutino la stampa italiana a mantenere il clima di indipendenza totale dai poteri politici.

Un sistema qui, un altro lì e un altro ancora là. E mentre i sistemi e i loro sottosistemi rendono il tessuto dell'informazione un intricato ramificarsi di rapporti che assomigliano alle clientele feudali, il lettore, quello che almeno in linea teorica dovrebbe essere il fine ultimo del giornalismo propriamente detto dov'è? Dov'è la signora che compra il giornale dopo aver preso il pane per il pranzo? Dov'è il lavoratore che corre velocemente in edicola prima di affacendarsi in ufficio per 8 ore quotidiane?

La risposta è che è ancora nel ciclo dell'informazione, solo occupa un posto diverso. E' prima di tutto il "cliente": la stampa che faceva da cagnaccio rognoso da guardia alla politica, ora fa il bravo fedele cagnetto che riporta la "palla" ai politici, per farlo usa la pubblicità e i suoi meccanismi, che per legittimarsi formalmente e coprire il sottosistema necessitano ancora di lui, il buon vecchio lettore.

Catastrofico, si potrebbe dire; apocalittico, si potrebbe osare. Deprimente, sotto alcuni punti, suona forse più adeguato. Lopez restituisce un quadro non solo depresso, ma preoccupante della situazione della stampa italiana. Se ha ragione, non si capisce il motivo per il quale questo sistema continua a essere funzionante, organico e stabile (qualità che non sembrano appartenere statisticamente ai governi italiani, piuttosto).

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