Dalla Comuinicazione al Giornalismo Digitale

I motivi per cui un blog viene scritto sono disparati, molto spesso persino contrastanti tra di loro. Quello di oggi non è un post di informazione (la "i" minuscola è d'obbligo in una sede come questa): quello di oggi è un post di reindirizzamento, perché se è vero che l'incomunicabile si cela dietro al primo cespuglio a sinistra nella via della Comunicazione, ritengo sia altrettanto vero che parte di esso sia giunto a passi lunghi e ben distesi nel giornalismo, nell'info-snacking, nella partecipazione al mondo di chi, per professione, dovrebbe o vorrebbe fare il giornalista.

Leggendo alcune riflessioni di studenti di un corso di informatica, applicata al giornalismo naturalmente, dell'Università di Parma, ho trovato che molti "sognano", per usare un verbo tanto inflazionato quanto dal sapore evocativo, di lavorare nell'editoria, nel mondo dei giornali, in prima linea tra coloro che combattono la guerra quotidiana della diffusione del Fatto, questo sì con la lettera maiuscola.

Interessante che "il Fatto" sia anche il titolo di una nota trasmissione televisiva Rai che va in onda ogni giorno sul secondo canale nazionale, condotto da una prorompente e quantomeno autoritaria giornalista convertita allo showbiz... Interessante perché il fatto molto spesso è più "fatto" di quanto si pensi, è molto più ritoccato a suon di Photoshop e "mentine anti-alito" di quanto si possa pensare.

Questo post introduce un nuovo aspetto dell'incomunicabilità odierna, quello di un giornalismo invischiato fino al collo nella politica, di un mondo dell'informazione dove la vera merce non sono i fatti, ma le provvidenze, dove la conoscenza di qualcuno conta spesso più di qualcosa e dove molti, come gli studenti di Parma, sognano di poter cambiare le cose. Non comunicare è il nuovo modo di comunicare anche nell'informazione, e se non ci si crede solo a sentirselo dire, si dia un'occhiata al sito di Repubblica (www.repubblica.it) e si vedrà comparire in alto, prima di tutte le notizie, un bello schermone con una farfalla lcd, pronta a spiccare il volo. Naturalmente, pubblicità.

Il lettore di un quotidiano, interessato ai fatti, viene irretito inconsapevolmente in un circuito dove la notizia è l'esca e la pubblicità è il vero fine. Ma tutto come se non stesse accadendo, la "pubblicità trasparente". E poi, per i più impavidi che scorrono la pagina fino alle notizie, ecco apparire il nuovo "giornalismo digitale": decine di piccoli trafiletti da poche righe, privi di retorica, sfoggio di un italiano forbito o l'approfondimento tipico del giornalismo cosiddetto "tradizionale". E allora il nuovo lettore di giornali si trasforma in uno zapper, trasformazione ben lontana dagli intenti di Scalfari nel 1976 quando fondò la versione cartacea di Repubblica, ma ben distante anche dal pionieristico tentativo de l'Unione Sarda che, per prima in Italia a metà anni '90 (prima anche de Il Manifesto), aveva realizzato la versione "digitale" della propria testata.

Ecco perché il mio intento non è quello di essere giornalista e poi osservatore della realtà, bensì è quello di essere studioso e poi giornalista. Senza vera conoscenza, raramente si giunge alla selezione di ciò che è significativo e ciò che tace la realtà delle cose, ammesso che ce ne sia una. "Acqua in bocca" dunque, perché ora, senza troppo catastrofismo, la non comunicazione passa alla non informazione. O almeno questa è l'impressione che dà il mondo del giornalismo cosiddetto "partecipativo" agli occhi di uno studente inesperto e curioso della vita.

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